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giovedì 30 settembre 2010

La "malattia" del Bipolarismo e il coraggio che non c'è.


Il titolo è un poco forzato, lo ammetto. 
Eppure la sensazione è che quella del bipolarismo sia una delle più grosse prese in giro degli ultimi vent'anni. 
Per definizione ne esistono due tipi, quello cosiddetto bipartitico e quello pluripartitico, basato cioè sulle coalizioni. 
La presa in giro sta nel fatto che questo "benedetto" (sic) bipolarismo, quello che viene sbandierato come uno dei principali punti di svolta tra la prima e la seconda Repubblica, è di fatto, una truffa colossale.
Se vogliamo ben vedere, al di là delle definizioni, anche nella cosiddetta Prima Repubblica, vi era una sorta di bipolarismo: il Pentapartito (DC, PSI, PSDI, PLI e PRI) contro il PCI. Poi esistevano una serie di listarelle con qualche deputato che si appoggiava ora al governo ora all'opposizione in quello che verrà definito un mercimonio di voti. 
Nella sostanza la situazione non è cambiata.
C'erano molte liste, ve ne sono molte ancora oggi, il mercimonio di voti perdura con la questione morale annessa. Cambiano i nomi: da una parte Popolo delle Libertà e Lega, dall'altra il PD e una moltitudine di sigle senza speranza e senza futuro, legate solamente alle fortune del fondatore e, in genere, al chiasso mediatico che riescono a produrre.
A questo si aggiunga che tutte le formazioni vivono la propria vita politica in funzione del consenso, senza  alcun coraggio nel supportare idee funzionali sebbene di scarso gradimento. In altre parole, proiettano in politica la maledizione dell'Italiano, ovvero la propensione alla furbizia piuttosto che all'intelligenza, o ancora, il successo personale (o dei fidati) a scapito di quello della collettività.
Non era poi cosi difficile immaginare che il bipolarismo in Italia sarebbe abortito l'attimo stesso del suo concepimento. 
Innanzitutto perché il bipolarismo è davvero funzionale  solo se bipartitico: si effettuano primarie all'interno del partito, con scontri anche aspri. Poi, chi vince, ha l'appoggio di tutto il partito che ne accetta il riconoscimento dell'elettorato supportandolo per l'intera legislazione. 
In Italia, invece, si cerca un leader che unisca una coalizione di partiti di idee diverse che fanno fronte comune con il solo scopo di battere la controparte. Una volta giunti alla vittoria, le varie anime della coalizione si sfaldano, perché spesso incompatibili. Basti pensare all'armata Brancaleone dell'ultima coalizione vincente di sinistra: atei con cattolici, rivoluzionari con conservatori, giustizialisti con "indulgenti". Anche quella odierna di destra non scherza: presidenzialisti e nazionalisti con secessionisti pseudo federalisti, laici con devoti, repubblicani con ex fascisti, liberali con statalisti. Ed infatti mal si regge e mal governa.
L'Italia, ahimè, manca di cultura democratica: la politica ha come scopo primario il potere (e il denaro che ne consegue), non il servizio. Laddove c'è servizio, esso è scadente o grottescamente esagerato come nel recente caso della scuola di Adro, più simile ad un tempio al razzismo che non ad un luogo dove passare la conoscenza. I casi virtuosi di buon governo oggi sono cosa rara.
Il tutto è poi sensibilmente peggiorato con l'ultima legge elettorale, ove, mancando quel minimo di controllo da parte della cittadinanza sui candidati, i vari leader hanno potuto costruire liste di persone personaggi succubi,  o per il triste spessore, o perché addirittura in debito con il leader (spesso perché entrambe le cose, variamente correlate tra di loro), togliendo ulteriormente coscienza al già desolato panorama e rendendo palese la totale eguaglianza tra il sopraccitato mercimonio e la prostituzione, sia essa intellettuale o, come traspare da recenti dichiarazioni, "classica".
Avevo parlato di coraggio, sottolineando quanto questo manchi. E' dimostrabile in continuazione, ma se vogliamo, già nella contesa elettorale si intravede in modo chiaro: se solo i grandi partiti cercassero di imporsi con le proprie idee anziché con l'ausilio di manciate di voti portati dai partitucoli, la governabilità sarebbe una garanzia.
A vincere dovrebbero essere i modelli, i programmi. Meglio ancora, le presone che credono e propongono i modelli, sicché si possa individuare a chi dare i meriti o viceversa punire senza che ci sia il solito e stucchevole rimpallo delle responsabilità.
Poi c'è l'azione dei governi ove manca totalmente il coraggio di un'etica per cui il servizio politico non rappresenti né un professione, né un sistema per favorire gli interessi dei propri finanziatori o, peggio, i propri.
Il governo in carica da un certo punto di vista è scandaloso nella sua ricerca spasmodica di creare uno scudo giudiziario al suo leader, sottovalutando una situazione economica reale prossima allo sfascio, con le conseguenze di conflitto sociale che già fa capolino qua e là nelle cronache locali, sebbene si sottaccia, si minimizzi o addirittura si neghi.
Di coraggio invece, se vogliamo proprio sforzarci a definirlo tale, ne devono avere molto certi parlamentari che non hanno remore a passare da un partito all'altro, magari facendosi anche corrompere. C'è chi, addirittura, ha messo in chiaro il prezzo, come quel molto, ma molto poco onorevole eletto nelle liste PD, quindi all'opposizione, che dice di sentirsi pronto per la carica di ministro. Nel governo di destra!
Ma, badate, lo avrebbe fatto per dare modo ai "suoi" di riorganizzarsi per le prossime elezioni: che dire uno stratega! Chissà poi se la strategia successiva, quella della rinuncia, sia stata adottata per la mancata poltrona o perchè messo alla gogna...Comunque la si veda, uno schifo.
Poi c'è il lato opposto della medaglia, ovvero quella che io definisco "la marmaglia eletta per procura" ovvero tutti quei signor nessuno che vengono eletti, grazie al "porcellum" solo perché il capolista prende voti in tutte le circoscrizioni. Quelli in altre parole , impresentabili, ma assai utili perché di fatto non hanno una coscienza loro: sono come il midollo spinale: incapaci di prendere decisioni autonome se non per arco riflesso (ma in genere con risultati imbarazzanti), ma imprescindibili per sostenere la maggioranza.
A fronte di una tale carenza di virtù, mi chiedo se abbia ancora senso definire tali soggetti "onorevoli", termine che significa "degno di onore".



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