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giovedì 21 luglio 2011

Nessuna pietà?


L'ennesimo arresto ha reso l'ex assessore Pdl di Milano, Pergiorgio Prosperini, una patetica maschera caricaturale degna della commedia dell'arte. In un certo senso lo era già prima, ma pochi se ne accorgevano: un fenomeno peraltro conforme alla regola per cui l'intelligenza di una massa evita il concetto di media ma tende invece ad allinearsi verso il basso, verso, cioè , i meno dotati.
Discutendo con amici essi sono rimasti sorpresi che non ostentassi alcuna pena per il soggetto, bensì fosse chiara una certa soddisfazione. 
Che l'età mi abbia reso cinico? 

Difficile giudicarsi, tuttavia rifuggo questa definizione. 
Benché spesso beffardo, sono lungi dal disprezzare o dall'essere alieno a valori e sentimenti umani.
Umanamente quindi, provo dispiacere, ma non tanto per ciò che è accaduto al Prosperini, quanto mi rattrista l'idea di come un essere umano possa ridursi, passando dal ridicolo al, come dicevo in apertura, patetico.
In base a ciò, mi par peraltro naturale e scontato che egli paghi i suoi misfatti con tanto di gogna, la stessa che egli si è costruito nel tempo, nella stupida illusione di averla messa ad altri. 
Ciò che accade ed è accaduto rappresentano dunque, null'altro che la raccolta di ciò che egli ha seminato.
Il mio sorriso beffardo, scambiato forse per cinismo, era dovuto alla constatazione che il falegname è stato inchiodato  alla croce che egli stesso si era commissionato e che, solertemente e con un certo autocompiacimento, aveva preparato nell'intento di appenderci qualcun altro. 
Nessuna pietà per il soggetto, dunque: non ritenendo esserci giustizia divina il mio più sincero augurio è che la giustizia sia fatta in terra. 
Nessuna pietà per la gogna di cui egli è oggi giorno soggetto, giacche ai tempi egli non ne ha avuta per il deboli e i diversi.
Pietà e pena invece per il degrado dell'uomo.
L'esperienza mi ha insegnato che la prepotenza non si ferma con la cortesia, la quale spesso diventa alimento della prima, ma con l'arguzia, la saggezza della pazienza e il tempismo. 
Quando infine l'avversario passa galleggiando sul fiume, non v'è cinismo nel constatarne la caduta, né nel trarre un sospiro di sollievo in quello che poi altro non era che un ovvio epilogo.

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