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venerdì 13 luglio 2012

Scommettendo con Pascal



Nulla di tanto assurdo può essere detto
che non venga sostenuto da qualche filosofo.

(Marco Tullio Cicerone - De Divinatione)


Conviene davvero credere in Dio?
Pascal giunse alla conclusione che, sì, conviene crederci.
Il perché è presto detto:
  1. se esiste e non ci credi non ottieni la salvezza
  2. se esiste e ci credi sei salvo
  3. se non esiste e non ci credi non cambia nulla
  4. se non esiste e ci credi non ci hai perso niente
Dalle superficiali ricerche effettuate, la cosiddetta scommessa di Pascal fu, a suo tempo, fortemente criticata, additata come utilitaristica o come apologetica del cristianesimo (Pascal era credente) e fu, come tutto ciò che divide,  altrettanto fortemente difesa.
Ora, lungi da me pensare che il mio commento possa avere una qualunque validità filosofica, né che la mia critica possa essere considerata originale, tuttavia, poiché la scommessa mi è stata posta recentemente (a dirla tutta non solo sapevo della sua esistenza, non so neppure se quella riportata sintetizza correttamente il ragionamento di Pascal), la riporto, considerandola, un mero esercizio di libero pensiero, dotato di "originalità relativa" (tutto ciò che sotto è riportato, quindi anche le poche osservazioni intelligenti,  è frutto di elucubrazioni personali: nulla ho letto in proposito di altri autori). Dovesse essere diverso il senso delle parole di Pascal (approfondirò il tema non appena possibile), i miei pensieri siano valutati non tanto come possibile confutazione, quanto come un elaborato personale (che è il solo motivo per cui pubblico il post così frettolosamente).

Cominciamo a destrutturare, partendo però dall'assunto che quando parla di dio, Pascal intendeva quello presentato dal cristianesimo:
  1. Se dio esiste e non ci credi ci perdi. Perché mai dovrebbe essere così? Il dio proposto dal cristianesimo è descritto come magnanimo e pronto al perdono. Qualora un miscredente, dovesse comportarsi in modo coerente più o meno inconsapevolmente, con i principi morali del cristianesimo non dovrebbe incorrere nella dannazione eterna, pur non seguendo le restrizioni che la religione impone. Non è una cosa campata o impossibile giacché, al di là di quelle rituali (santificare le feste, unico dio ecc), quasi tutte le altre (non rubare, rispetta la tua persona e il prossimo, ecc) sono regole comuni e imprescindibili a tutti i nuclei sociali umani. Inoltre, in questo ragionamento, bisognerebbe far rientrare anche coloro che non hanno creduto perchè non ne hanno avuto la possibilità, come coloro che sono morti prima di sviluppare la capacità di ordire pensieri metafisici (i neonati e gli infanti, ad esempio), o coloro che sono nati in un epoca o in un luogo ove l'opera di evangelizzazione non era ancora stata svolta. E' un caso che il Limbo, anticamera infernale da tutti accettata nel evo di mezzo, è stata eliminato dal predecessore dell'attuale pontefice?

  2. Scommessa vincente sull'effettiva esistenza di dio. Dipende. Il solo fatto di credere in dio non dovrebbe essere condizione sufficiente per ottenere la salvezza, non lo è in quella cristiana dove, ad esempio, il perdono è legato al pentimento. Occorre, per la religione, che vengano soddisfatti molti altri requisiti, oltre alla sola manifestazione del credo, in linea con quanto detto relativamente al punto 1. Data, tuttavia, per scontata la rettitudine del credente non si hanno comunque prove che l'interpretazione del verbo divino da parte degli intermediari, il clero per intenderci, sia corretto. Ma è un punto, questo, che voglio affrontare a più avanti. 

  3. Se non esiste e non ci credi, non cambia nulla. Certo, da un punto di vista della singola persona non fa una piega. Diverso se il singolo deve, come del resto è ovvio che accada, rapportarsi ad una comunità: in tal caso le limitazioni subite dal non credente a causa dell'errato credo portato avanti dal resto della società permangono. Faccio un esempio: una persona credente, praticante e assolutamente proba nei confronti dei dettami religiosi, non si concederà mai carnalmente ad un altra prima del compimento del rito matrimoniale, pur corrispondendone i sentimenti. Ora supponiamo che l'altra persona non sia credente a cui ovviamente nulla importa del sacramento religioso. Ebbene, costei non potrà godere dei piaceri dell'amore fisico a causa di quella che di fatto si configura come mera superstizione. La coesistenza dell'inesistenza di dio con il mantenimento dei tabù e delle regoli a lui attribuiti è quindi dannosa e rende questa proposizione assolutamente sconveniente.

  4. Non esiste ma ci credi, non ci hai perso nulla. Vale il discorso fatto poc'anzi, quindi, come sopra la presunta neutralità è un concetto inesatto. Ma, per meglio specificarlo, ritorno sul fatto ribadendo che moltissimi principi spacciati come dettati, più o meno direttamente, dalla divinità, sono in realtà principi inderogabili su cui si fonda il vivere comunitario. Dato che essi derivano dalla nostra natura umana, la quale non deriverebbe a sua volta, in base all'assunto preso in esame, da alcuna divinità (giacché appunto essa non esiste), il resto dei dettami che dovrebbe seguire un credente sono nella migliore delle ipotesi una perdita di tempo, che comporterebbe sicuramente inutili rinunce.

Va aggiunto che il principio di convenienza spesso è dettato dall'ulteriore supposizione che il non credente non possa godere della felicità data dalla speranza di una vita ultraterrena. Al di là del fatto che l'inesistenza di dio non preclude l'idea di una vita ultraterrena, ma ne impedisce, al limite, la determinazione della tipologia e della qualità (mancando "la rivelazione"), non è detto che l'annullamento possa generare un sentimento di oppressione nel non credente. L'accettazione di essere parte di un sistema complesso, in continua evoluzione,  che contemplerebbe tra i vari processi anche quello dell'annichilimento o della morte (posto che morte significhi annichilimento e non trasformazione), che dir si voglia, non è per forza fonte di infelicità.
Se mi permettete la divagazione essa non può essere intesa neppure come causa della concezione di vita basata sull'edonismo, altra accusa spesso mossa all'ateo: avendo egli sicurezza di avere una sola vita da vivere, non per forza egli intenderà l'esistenza come volta al conseguimento unico del piacere, anzi, pur non denigrando e/o ponendo limiti religiosi al piacere, gli è ben chiaro che i doveri morali devono essere adempiuti nel breve arco dell'esistenza della vita media, in altre parole non solo non dovrebbe sentirsi esentato, ma in cuor suo dovrebbe sentirsi obbligato a conseguire gli obiettivi prefissati.
Ma qui, siamo ovviamente nel campo delle ipotesi. Anzi dell'Idea.
Ad esempio, la concezione edonistica della vita spesso attribuita ai non credenti, in quanto liberi dall'idea di dover essere, dopo la morte, giudicati della loro vita, può tranquillamente sposarsi con la visione dell'ateo, ma a ben vedere, si adatta benissimo anche ad un cristiano oltranzista, che per godere del piacere di essere vicino al suo dio, ad esempio, compie azioni masochistiche (auto-fustigazione, cilicio) o sadiche (roghi, lapidazioni, torture,  volte, a suo dire, a debellare il male).
Il fatto che possa riferirsi sia all'ateo che al credente, rientra però nella casistica; in altre parole può essere così, ma non è detto che lo sia, perché di fatto entrambe le categorie rientrano nell'insieme più grande che è il genere umano.

Ritorniamo però alla scommessa.
Le cose si complicano ulteriormente se si parte dall'idea che dio esiste ma si constata, come è facile verificare nella realtà, che vi sono molte interpretazioni dei suoi dettami, spesso in contrasto tra di loro su determinanti principi. 
Vediamo cosa accade per assurdo sui primi due punti :
  1. Dio esiste ma non credi. Statisticamente non sarebbe conveniente credere ad una specifica religione, le probabilità di azzeccare quella giusta è inversamente proporzionale al numero delle religioni e in secondo luogo delle sette. In altre parole il rischio di sbagliare è maggiore che non quello di indovinare. Non è detto, ovviamente che assumere un comportamento di diniego dell'esistenza di dio possa fornire un vantaggio, ma tale prospettiva gode per lo meno delle stesse possibilità delle altre. La bontà di un uomo, infatti,  non è relazionabile direttamente alla religione da lui seguita o dal fatto che non ne segua alcuna. Si dovrebbe accettare l'idea che solo seguendo tutti i dettami della religione "vera" un uomo possa salvarsi, ma in tal caso crollerebbe l'assunto della magnanimità di dio, che diverrebbe così nulla di meno che un sadico dittatore.
  2. Dio esiste e ci credi. Vale quanto sopra: per essere conveniente non solo devi crederci ma devi azzeccare anche la giusta divinità, e nell'ambito di una religione, la setta che interpreta correttamente i principi da seguire e che tali principi rimangano inalterati nel tempo. Ma alla luce di molti studi si ha la certezza che molte cose siano state alterate ad hoc nel corso dei secoli, per adattarsi di volta in volta alle esigenze nuove di nuove generazioni. Del resto, la casta clericale è autoreferenziale, ovvero non solo si arroga il diritto di interpretazione ma la impone per diritto divino attraverso il dogma dell'infallibilità.  In base a ciò è possibile, cosa suffragata, come abbiamo visto,  dall'esistenza di molteplici interpretazioni che sussistono all'interno del cristianesimo (basti pensare al numero enorme di sette: mormoni, avventisti, anglicani, battisti, protestanti, cattolici , ortodossi, ecc), che il credente, pur credendo in dio, viva un esistenza di privazioni inutili o addirittura commetta peccati che lo priverebbero dell'eterna estasi del paradiso (pensiamo alle trasfusioni di sangue se dovessero aver ragione i Testimoni di Geova).
C'è da dire che la convenienza o meno del credere in dio non cambia in funzione della effettiva esistenza di questi,  quanto nel credere in quelle che sono le interpretazioni delle sue volontà.
In altre parole, quello che ritengo fattore invalidante della scommessa è che Pascal parla di una divinità precisa, il dio cristiano e non di una dio generico, sia essa creatore o demiurgo. 
Infatti, nell'ipotesi che dio non avesse manifestato alcuna volontà circa il modo di condurre la vita, ma si fosse limitato a creare o plasmare l'Universo, non si verrebbe a creare alcuna convenienza tra credere o non credere, giacché faremmo parte del creato e della sua evoluzione secondo leggi predeterminate indipendentemente dalla nostra volontà. Viceversa avesse dio manifestato in modo chiaro e non suscettibile di interpretazioni le sue volontà, non ci sarebbe bisogno alcuno di credere.
Ne consegue che il dilemma non è basato sull'esistenza o meno di dio, ma sulla scelta di credere o meno in una religione, ai suoi principi e ad una sua precisa interpretazione. 
La scommessa, almeno come mi è stata riportata (non ho mai letto nulla di Pascal), è quindi posta male: non di dio, ma di religione si parla.
Ora ci sono due aspetti da osservare sulla religione: il primo l'evoluzione storica della stessa. Il secondo gli errori da essa compiuti.
Le religioni si modificano nel corso dei secoli, con l'affermarsi di una corrente o di una setta a discapito delle altre. Gli stessi principi vengono modificati o interpretati diversamente e, tipico delle religioni, convivono in esse principi diametralmente opposti: non uccidere, uccidi; perdona, vendica; ecc.
Pensiamo al rapporto tra Cristianesimo e Islam: il primo accusa il secondo di proporre principi violenti  e si presenta viceversa come religione di pace.
Incredibilmente (e a ragione!), anche la seconda si propone negli stessi termini.
Infatti, sia nel Corano che nella Bibbia, vengono riportate esplicite richieste divine a compiere stragi e contemporaneamente, in antitesi, c'è l'esaltazione della bontà e della magnanimità del creatore.
Seguendo le prime sarei ritenuto giusto nell'assassinare un infedele, un sodomita od uno stregone.
Molti, in base alle prime, partirono ad esempio per le crociate, convinti che dio lo voleva, che gli sarebbero stati rimessi i peccati e, quindi, spalancate le porte del paradiso. Idem per i martiri islamici convinti che portandosi nella tomba persone anche innocenti ma soprattutto infedeli avrebbero avuto in dono vergini in abbondanza ed eterna felicità.
Ma per una persona sana di mente possono davvero valere certe disposizioni?
La domanda è ovviamente retorica e, a questo punto, poiché le religioni nel loro sviluppo hanno sempre manifestato l'umanissima tendenza a voler prevalere tramite la forza (mai un dio antropomorfo si è manifestato a tutta l'umanità), cambiando spesso le carte in tavola (regole e comportamenti), perché mai scommettere su di esse e non sperare invece che, se davvero dovesse esserci uno o più divinità, queste non siano meglio di quelle proposte o talmente superiori da non poter nemmeno essere comprese dalle umane menti o, ancora, che di divinità non ve ne sia alcuna, che il nulla in fondo, è e sarebbe meglio degli spregevoli frutti di quelle contorte fantasie che chiamiamo comunemente "religione".

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