Ad Expando

martedì 4 settembre 2012

E' morto un uomo


La eco dei canti funebri dedicati al Vescovo emerito di Milano Cardinal Martini, si sono appena spenti. 
I media si sono scatenati ognuno portando acqua al proprio mulino per accontentare la propria ideologia, le proprie tesi, spesso lecitamente, altre in modo intellettualmente disonesto. Persino la gente comune si è divisa sulla figura di quest'uomo, sintomo questo di una sua specifica grandezza: si sono divisi sulle sue opere, sulle sue parole e persino sulla sua morte, in particolare su quel rifiuto all'accanimento terapeutico che alcuni hanno visto in contrasto con l'etica cristiana, altri no.
Ho letto di critiche strumentali di bassa lega, come elogi assolutamente gratuiti e spesso non dovuti.
Ho deciso di aspettare fino all'ultimo per rendere pubblici i miei pensieri, raccogliendo pareri e facendomi ispirare da discorsi, letture e persino dalle sbrigative sentenze pubblicate sui social network.

Personalmente ho sempre stimato Carlo Maria Martini come uomo, in particolare per il suo slancio verso il dialogo, anche se ritengo piuttosto improbabile  che uno scambio proficuo possa avvenire quando una delle due parti si arroga una supremazia etica e morale. 
Questo lo affermo consapevole che molto spesso anche l'ateo e l'agnostico rivendicano a torto lo stesso primato, che andrebbe verificato di volta in volta sui vari argomenti e casi.

Vi sono alcune cose relative alla vicenda Martini che però mi fanno riflettere, non senza una nota di fastidio. 
Innanzitutto il fatto che molti abbiano visto nel cardinale un esempio di apertura verso le tematiche della nostra epoca e ne abbiano fatto per questo un paladino. 
La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?
Sono le parole che hanno maggiormente impressionato l'opinione pubblica. Questa presunta accusa in realtà è piuttosto debole, perché espressa da un uomo che ha manifestato null'altro che una timida apertura laddove invece vi è da sempre una cronica chiusura. In sostanza, in molti preferiscono glissare sulle lotte per i diritti civili combattute da minoranze, faccio l'esempio eclatante della comunità gay, ma si esaltano perché un uomo appartenente ad una organizzazione religiosa chiusa nei suoi dogmi e tradizioni pare avere un ravvedimento la cui entità va cercata tra il dubbio e la convenienza.
Mantenendo l'esempio citato il Cardinale Martini parve interpretare un cambiamento di visione auspicato da un certo numero di credenti e non:
Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli.
Tuttavia, la sua posizione nei confronti dell'omosessualità da un punto di vista teologico non cambio mai e rimase sempre entro i limiti imposti dalla religione:
Stesso approccio, il vescovo di oggi deve avere per le persone omosessuali, per le quali, fermo restando che la Scrittura condanna tali comportamenti, occorre ascolto e comprensione, orientandosi verso una amicizia spirituale: «Lo Spirito Santo porterà consiglio, caso per caso, per ciò che è meglio per la persona che si ha davanti».
Da questa sua ultima frase si riconoscono tutte le caratteristiche dell'uomo di Chiesa: il porsi in maniera misericordiosa e accondiscendente verso ciò che si reputa diverso, sbagliato o peccato, a patto che il diverso o il peccatore si ravveda assecondando la dottrina. In oltre, il celare la regola di comportamento da tenere dietro la guida di un eventuale "spirito", agli occhi del non credente, pare null'altro che  un metodo per imporre il proprio volere giustificandolo come divino.
In realtà è proprio questo barcamenarsi della Chiesa, questo suo essere indulgente e oltranzista allo stesso tempo, dando voce ora ad una sua parte e ora all'altra a seconda dello scopo e della convenienza, ad irritare i miei sensi. 
Può essere ed è anche probabile che sia stato, che tale atteggiamento nel Cardinal Martini fosse insito nella sua persona e non fosse dettato dalla convenienza. Io stesso ad esempio, pur non ritenendomi omofobo riconosco in me tare probabilmente dettate dall'essere cresciuto nel mio tempo che non mi permettono di affrontare temi inerenti all'omosessualità in modo totalmente libero da pregiudizi. Perché non dovrebbe sentire queste tare anche un uomo come Martini, vissuto in ambienti assai più chiusi di quelli che hanno riguardato la mia formazione? In altri suoi scritti, di fatto,  traspare la forma mentis di un uomo a suo modo più vicino al suo tempo di quanto riesca ad esprimere mediamente l'organizzazione a cui lui aveva votato l'intera vita, sebbene va ricordato quanto il Cardinale sia stato privo della forza di combattere per le queste sue idee (es: concessione dei sacramenti ai divorziati) e abbia solo concesso un inutile dialogo.
Concessioni, anche qui è giusto ricordare, a causa le quali molti attribuiscono la sua mancata elezione a Papa (ma è vero?) ma sopratutto errate, almeno se si  avalla la visione provvidenziale dello spirito guida.
A ragion di logica, se la provvidenza divina ha permesso l'affermarsi di idee e concetti retrogradi e spesso oscurantisti è perché la divinità sostanzialmente aborre concessioni alle nuove tendenze sociali. 
Martini fu almeno a parole, un poco più moderno, dei suoi decrepiti colleghi (con idee vecchie rimaste a 2 secoli fa), ma comunque molto meno di quanto la società credente in fondo pretenda dal cristianesimo, e di certo meno coraggioso di molti che per l'affermarsi di quelle idee e per il diritto di manifestarle e viverle, lottano ogni giorno impegnando sé stessi.
Inoltre, le stesse idee espresse dal Cardinale non sono sempre coerenti, come si vuol far credere.

Nel settembre del 2009 criticai un articolo scritto di suo pugno sul Corriere (il post si trova qui) dove tra le molte cose Martini, neppure farlo apposta, contestava l'idea di una chiesa vecchia:
Del resto il modernismo stesso fu un tentativo, affrettato e un po’ maldestro, di rispondere alle nuove esigenze delle scienze. Chiederei dunque a tutti coloro che ritengono il cristianesimo come sorpassato se hanno letto i grandi teologi del nostro tempo. Vi troverebbero sorprese folgoranti.
Dubito che tra queste righe del 2009 e l'ultima intervista dove la Chiesa era spacciata per obsoleta ci sia stato un ravvedimento. Più semplicemente, nella prima, l'argomentazione era utile alla dimostrazione della tesi proposta mentre, la seconda, è una constatazione che lo stesso Papa per altro continua a fare cercando nei suoi vari discorsi ed encicliche di porre rimedio senza stravolgere la dottrina. 
In sostanza c'è sempre quel misto, magari inconsapevole tra convinzione e convenienza, tipica dell'Uomo.

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Mi dilungo ancora un poco ragionando su alcuni articoli di reazione alla morte del Cardinale in particolare sul tema dell'accostamento del rifiuto delle cure terminali tra il suo caso e quello di Welby.
Su Avvenire c'è stata ad esempio una levata di scudi:
Paragonare la lucida e umanissima decisione del cardinale e dei suoi medici di fronte all’ultima crisi parkinsoniana, di metà agosto, che ha segnato il breve epilogo della sua esistenza terrena (circa due settimane), segnato dalla «incapacità a deglutire cibi solidi e liquidi» – come affermato dal suo medico curante – con le scelte del padre di Eluana Englaro o di Piergiorgio Welby è una operazione strumentale priva di ogni realistico riferimento clinico ed etico.
L'autore ha ragione sul l'operazione strumentale e sicuramente anche sulla possibilità di raffronto tra le malattie che hanno portato in fin di vita il Cardinal Martini, e quelle che hanno invece determinato la scelta di morire di Welby e il caso Englaro.  Assolutamente contestabile invece il fatto che non possa esserci raffronto sul piano etico, giacché in tutte e tre i casi si parla di autodeterminazione dell'individuo dinnanzi al dolore. Welby aveva chiesto di morire nello stesso istante che la malattia gli avesse impedito la respirazione naturale ma fu suo malgrado portato in ospedale dalla moglie, dove subì, contro il suo parere, la tracheotomia e l'intubazione. Dopo essersi fatto una ragione e aver impegnato la propria segnata esistenza lottando dapprima per garantire il diritto di voto ai cittadini colpiti da grave disabilità e successivamente, con l'aggravarsi della malattia, per il diritto di rinuncia alle cure e ai trattamenti, decise che era giunto infine il momento perché il dolore derivato da ciò che non considerava più vita venisse spento con quella sua "non vita".
Eluana, ancora, aveva manifestato quando era nel pieno delle sue possibilità di non considerare degna una vita in stato vegetativo e di preferire a questo stato la morte, pertanto il dolore, in tal caso non sarebbe fisico e probabilmente neppure mentale, semplicemente era condannata ad un inconsapevole ergastolo dentro il proprio corpo. Ma qualora avessero ragione i pro life, ovvero che la povera ragazza potesse avere ancora dei barlumi di senno, allora l'ergastolo sarebbe stato consapevole e il dolore inespresso probabilmente dilaniante.
La Chiesa si esprime, attraverso il catechismo in modo apparentemente chiaro circa il rifiuto di eventuali trattamenti: 
L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'"accanimento terapeutico". Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. [Catechismo della Chiesa Cattolica, articolo 2278]
Quanto queste righe abbiano influenzato la decisione del Comitato Nazionale di Bioetica è piuttosto evidente. Infatti, nel testo redatto dal CBN  si definisce ad esempio Accanimento Terapeutico:
Un trattamento di documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un'ulteriore sofferenza, in cui l'eccezionalità dei mezzi adoperati risulti chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica"
Tali criteri non tengono minimamente conto della volontà dell'uomo. Così anche sia per il nostro Stato, presunto laico, così come per la Chiesa, la volontà del cittadino vivente, ma morente, può essere esaudita solo se vengono soddisfatti i criteri di cui sopra.  Tutti i tentativi espressi dai vari comitati etici italiani (CNB, ma anche quello del CDM, Codice di Deontologia Medica) tendono a definire in modo oggettivo ciò che invece risulta soggettivo, ovvero il diritto della persona di autodeterminare quali sono le condizioni limite di salute oltre le quali non valga più la pena vivere e per le quali qualsiasi  trattamento, anche se efficace (la respirazione artificiale è efficace, di rischio basso e oggi, neppure più eccezionale) dovrebbe venir sospeso se non funzionale alla risoluzione delle cause, in altre parole della malattia, ma solo al superamento meccanico dei problemi derivati dai sintomi, nonostante ciò non sia in grado di far rientrare la situazione nei limiti soggettivi di cui sopra, imposti dal paziente stesso.
Ovviamente ciò significherebbe avallare l'eticità del testamento biologico e di conseguenza l'accettazione dell'eutanasia nelle sue varie forme e declinazioni come possibilità, cosa evidentemente difficile da sopportare per coloro le cui credenze vietano tale pratica, che però non dovrebbe garantire loro alcun diritto di imporre ad altri principi etici che essi si sono auto imposti o, alla meglio, che hanno liberamente accettato aderendo ad un particolare credo.
E' chiaro invece che, per i credenti l'accettare la libertà di credo altrui (compresa quella di non schierarsi o di affermare la propria miscredenza), con il relativo bagaglio etico, risulta pressoché impossibile e, non a caso, a dimostrazione di ciò voglio terminare il post con le parole del tanto compianto Cardinale, significative anche se decontestualizzate dal tema in cui erano inserite, ovvero sull'accettazione dell'amore omosessuale:
Altri modelli di vita non lo possono essere (utili socialmente) alla stessa maniera e soprattutto non vanno esibiti in modo da offendere le convinzioni di molti.



Fonti :
Wikipedia
Corriere della Sera

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