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mercoledì 22 maggio 2013

Il Miserabile

Il suicidio, forse uno degli atti più estremi che può compiere l'essere umano, può avere motivazioni più o meno condivisibili che renderanno il gesto, al di là della tragedia, motivo di culto o di disprezzo.
Alcuni tipi di suicidio sono di fatto inconcepibili per una cultura e glorificate da un altra: si pensi ad esempio al suicidio rituale dei samurai, volto a riconquistarsi l'onore perso, spesso, per non aver avuto la forza di immolarsi a una causa impossibile.
Nel mondo occidentale cristianizzato il suicidio è per lo più condannato, poiché la vita, considerata dono divino (parlo di cultura, non di convinzioni del singolo), non può essere soggetto di rinuncia volontaria; sarebbe come restituire in malo modo, per l'appunto un dono e per di più all'ente creatore.
Vi sono ovviamente delle eccezioni, come ad esempio quelle per le quali si espone la propria vita, di fatto rinunciandovi, per manifestare il totale abbandono alla fede: il caso dei martiri, cui fa scuola il sacrificio del Cristo.
Anche l'eroe diventa tale in seguito alla rinuncia della propria vita (sia che essa avvenga effettivamente o meno). Lo fa, in tal caso per ideali: guidato dalla forza evocatrice di questi e dalla disperazione, si immola affinché altri possa godere appieno della vita che di quegli stessi ideali si nutre.
La storia ci riporta innumerevoli casi, come il sacrificio dei 300 alle Termopili, (al di là delle connotazioni politiche) il gesto di Jan Palach (peraltro catalogato dalla chiesa come "sacrificio di sè" e quindi accettabile), ma anche quello ignoto dei tanti eroi sconosciuti che pur di salvare una vita mettono a repentaglio la propria.
Ho tralasciato volutamente il tipo più comune di suicidio, ovvero quello dettato dal mal di vivere o dalla follia, perchè esso sfugge dalla volontà che rende l'Essere individuo: nel primo caso, infatti, si entra in una serie di  patologie che minano la capacità di intendere e volere; nel secondo caso, tali capacità sono già venute meno. E' persino sospettabile che alcuni gesti passati alla storia per eroici siano stati dettati dalla follia (anzi, nell'epica la figura dell'eroe folle è tutt'altro che rara), o dal ritenere nullo il valore della propria vita (negando quindi il concetto sacrificale tipico dell'eroe). 
Non è, d'altra parte, questo un trattato sul suicidio (non avrei le capacità di farlo), ma un (mio) solito prolisso incipit per ragionare sul recente suicidio del saggista e storico francese di cui ho letto l'altro giorno sui principali quotidiani nazionali (es: qui, qui e qui).

Va detto innanzitutto che a differenza di quanto riportano i giornali italiani, non è affatto chiara la correlazione tra il gesto dello storico francese, attivista dell'estrema destra, e la protesta contro la recente approvazione del matrimonio gay. 
Lo stesso Venner, il suicida, scrisse riguardo alla contestata legge:
Une loi infâme, une fois votée, peut toujours être abrogée (1) 
Peraltro, Venner non protestava unicamente contro le nozze gay ma, ad esempio, abbracciava le idee reazionarie di un identità nazionalistica basata su concetti ormai superati, come quello di popolo legato alla  religione o comunque su idee conservatrici sulla falsa riga di quelle espresse da Oriana Fallaci prima (Eurabia e quant'altro), od ancor oggi dalle linee editoriale dell'ateo devoto (ma ci si crede ancora?) Giuliano Ferrara attraverso quel foglio di carta che appunto è Il Foglio, o dai molteplici siti di oltranzismo simil fascista o cattolico:
Leur combat ne peut se limiter au refus du mariage gay. Le « grand remplacement » de population de la France et de l’Europe, dénoncé par l’écrivain Renaud Camus, est un péril autrement catastrophique pour l’avenir.
I media mancano, a mio avviso colpevolmente, di qualsiasi indagine volta a rivelare le condizioni di salute fisiche e mentali del soggetto (non aveva più nulla da perdere? era totalmente in grado di intendere e volere?), elementi che sarebbero utili, per non dire necessari, al fine di esprimere un giudizio di merito (fine ultimo di qualsiasi ragionamento).
Pur consapevoli di possedere dati incompleti abbracciamo l'ipotesi che il gesto estremo, non esclusivamente compiuto per protesta contro i matrimoni gay, sia stato fatto in piena coscienza e come gesto dimostrativo atto a risvegliare le coscienze su tutta una serie di ideali conservatori, o meglio "reazionari", che è certamente un termine che meglio si adatta a definirli. Più o meno come suggeriscono tutti i media, anche d'oltalpe.

Se così davvero fosse, sia il gesto che l'immagine postuma di Venner non possono che ridursi ad un qualcosa di miserabile, giacché quel suicidio altro non è che un mal riuscito colpo di teatro nel quale si intravvede la totale sconfitta di un uomo, non più capace di vivere il suo tempo, di accettarne, non di meno,  il raccolto di ciò che lui stesso e la sua generazione ha seminato.
Egli non è morto per ideali riconoscibili, pur con i dovuti distinguo, da tutti, ma ha massimalizzato la componente egoistica del suicidio. Non si è immolato per il popolo, ma per coloro che la pensavano come lui, cercando di adempiere con la morte ciò che il mondo in vita gli aveva rifiutato, imboccando, volenti o nolenti, un'altra strada.
Il suo gesto è saturo del disprezzo per il diverso, gay, stranieri, ideologicamente schierati dall'altra parte.
Egli non è morto per la libertà ma perché altri non ne potessero godere; in altre parole, perché una minoranza potesse mantenere (riconquistare) i suoi privilegi.
Non si è sacrificato affinché cessassero le violenze, ma in modo che "coscienze" destate dal suo gesto d'odio comprendendone il messaggio impugnassero le armi per combattere la sua guerra.
Discorsi vecchi, che olezzano di svastiche.
Le sue ultime parole, scritte sul blog:
C’est ici et maintenant que se joue notre destin jusqu’à la dernière seconde. Et cette seconde ultime a autant d’importance que le reste d’une vie. C’est pourquoi il faut être soi-même jusqu’au dernier instant. C’est en décidant soi-même, en voulant vraiment son destin que l’on est vainqueur du néant.Et il n’y a pas d’échappatoire à cette exigence puisque nous n’avons que cette vie dans laquelle il nous appartient d’être entièrement nous-mêmes ou de n’être rien.
Già. Bisognerebbe però valutare di volta in volta cosa significa essere sé stessi o cosa si è divenuti
A volte si può scoprire di essersi ridotto a coincidere, miseramente, con il nulla.

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